Il mio fiore d'inverno

Eri piccolissima, avevi appena un mese, era sei anni fa. Avanzavamo a passo spedito, incuranti del sole, come ovattate nella nostra routine in pieno collaudo, in corsa con il paraocchi verso il nostro obiettivo: sopravvivere.

Ad un certo punto sentii un profumo intenso, di fiori. Da qualche parte avevo letto che i Santi odorano di fiori. Veramente stavo per ricevere una visita, un'apparizione? Ero messa così male?
Seguii la scia a naso e mi ritrovai nel cortile di una casa abbandonata. Il profumo era sempre più forte, ma non vedevo fiori, né ombre o luci, niente. Finché mi accorsi che davanti a me, su un albero apparentemente spoglio, erano germinati dei piccoli boccioli a forma di stella, con i petali bianchi e un cuore rosso scuro. Così sobri da passare inosservati, così potenti da inondare tutta l'aria intorno con il loro effluvio. 
All'improvviso mi resi conto che non stavi piangendo, che i miei piedi erano appoggiati a terra, che stavo respirando. Dalla fontana scendeva un filo d'acqua, leggero nel suo fluire ininterrotto. Tutto passa. 
Strappai un rametto da quell'arbusto per portarlo alla nonna e chiederle che pianta fosse mai. Lo appoggiai sulla tua carrozzina e ti guardai teneranente: tu eri il mio fiore d'inverno, e quello era indubbiamente il tuo magico germoglio. 
Si chiama Calicanto. 


È un po' che sento il bisogno di raccontare la mia versione della storia, perché non farlo stava diventando un macigno sempre più grande da portare, uno zaino pesante di incomprensioni. Tutti sono pronti a giudicare se una è o non è una brava mamma, a misurare il suo valore in casa, al lavoro, con la prole, ma nessuno si preoccupa per lei, perché lei ha già quanto di più bello si possa desiderare: un figlio.
Eppure io dalla prima sera a casa con Aurora ho invidiato mio marito che quando aveva sonno andava a dormire, e poi andava a lavorare. Si lavava, si vestiva, usciva, ed era ancora lui, era normale. E non era indispensabile a quella piccola creatura (nonostante fosse preziosissimo per me, ma è diverso: io potevo dargli un margine di manovra, mentre un neonato richiede una presenza urgente, costante, così totalizzante da non lasciare il tempo per rinfrescarsi il viso al mattino, a volte). Perché io sì? Perché solo io? Perché non potevo chiudere gli occhi e fare finta per un po' di non essere necessaria a nessuno? E perché nonostante tutto volevo esserci in una maniera così esclusiva? 
Non sapevo più chi ero. Ed ero stanca. Ma determinata a farcela, come del resto da che mondo è mondo avevano fatto tutte. 
Era il mio lavoro, in un certo senso ero pagata per farlo, ma nessuno mi aveva detto prima come sarebbe stato, che avrei perso me stessa e che questa sensazione non mi avrebbe abbandonata presto: anche al rientro al lavoro non avevo interesse per le cose degli altri (tutto mi sembrava futile in confronto a ciò che mi aspettava a casa e alla notte che avevo appena trascorso in bianco, mi sentivo troppo sopraffatta) e a nessuno sarebbe importato delle mie. Non avevo niente di significativo da raccontare, non riuscivo a instaurare un dialogo, non riuscivo a ritrovare il mio posto nel mondo. 
La vita delle mamme è irrilevante, e anche le donne incinte non sono disposte ad ascoltare: l'esperienza ti deve attraversare, investire come un treno. E allora sì, le mamme si avvicinano timidamente e si scambiano qualche battuta, che a volte nasconde mondi desolati, da tenere con fatica in equilibrio. Ma sempre con cautela, per non rischiare di essere additate come madri degeneri. 
Sono sempre stata piuttosto sincera: non ho mai edulcorato la mia maternità, correndo il rischio di passare per quella che si lamenta di continuo. Allo stesso tempo non ho nemmeno detto tutto, perché sapevo che non sarei stata capita da chi non aveva figli in primis, ma neanche dalle stesse mamme, troppo prese come me a fare le cose giuste, da manuale, o a volte così sicure si sé da farmi sentire sbagliata. Nessuno può capire che cosa significa non dormire decentemente per anni, arrivare a casa e non poter riposare, non essere libere di ascoltare il proprio corpo, i propri bisogni. Un po' come le malattie: purtroppo nessuno può capire davvero, finché non le vive sulla propria pelle. Non che la maternità sia una malattia, ma è sicuramente un tempo di massima vulnerabilità, uno dei momenti più difficili che una donna si trova ad affrontare nella vita, e in questo passaggio è sola. Sola in mezzo agli altri.
 
Quando è nata Aurora tutte parlavano di allattamento, alto contatto, autosvezzamento, pannolini lavabili, disciplina dolce. L'imperativo era ascoltare i bisogni del bambino a tutti i costi, bisognava comportarsi in un certo modo per essere delle brave mamme. A volte sono andata controcorrente, secondo il mio sentire, seguendo i flussi del nostro vivere, provando a dar retta alla mia di mamma, che mi ha aiutata a tollerare i miei spropositati sensi di colpa; ma sono stata comunque, ineluttabilmente, vittima e riflesso dell'ambiente. Ho letto, ascoltato, trovato spiragli di solidarietà, ma erano troppo pochi, limitati ai gruppi delle mamme e a qualche confessione vomitata al parco lontano da orecchie indiscrete. Ringrazierò per sempre queste ancore di salvezza gettate in un mare di preconcetti, ma non basta. 
Non basta alle mamme e non basta alla società. Bisogna iniziare a parlarne anche fuori. Non lo credevo possibile, e invece ci dobbiamo provare, possiamo arrivare. 
Perché le mamme sono dappertutto: sono le vicine di casa, le colleghe al lavoro, le impiegate alla posta, le infermiere in ospedale, le professioniste a cui ci rivolgiamo quotidianamente, le sorelle, le mogli. Le mamme sono responsabilità di tutti. 

Avrei voluto conoscere Natalia nel 2016, ma allora anche lei, come me, era indaffarata a barcamenarsi nella sua nuova vita da mamma, e forse i tempi non erano maturi. 
Avrei voluto averla accanto, con la sua schiera di espertə, di voci rassicuranti, dentro e fuori dal coro. Mi sarei sentita un po' più forte, più consapevole, meno sola, e anche con qualche strumento pratico in più.
 
Se mi chiedessero che cosa deve assolutamente procurarsi una donna in procinto di partorire direi sicuramente un paio di cuffiette bluetooth per ascoltare il podcast "L'ora della mamma" di Natalia Levinte.

Tuttavia alcuni episodi varrebbe la pena li ascoltassero anche i papà, gli amici, i parenti. Perché quello di Natalia è un lavoro che va oltre la pacca sulla spalla fra mamme alle prese con coliche, notti insonni, pannolini da cambiare, educazione (come se l'educazione dei figli fosse prerogativa della cura materna). Natalia sta lanciando un appello alle donne e alla società intera, con riflessioni interessanti e intense guidate da professionistə, e con consigli di lettura straordinari. 

Stiamo tornando dall'asilo in auto, quando sulla destra vedo quel cespuglio. All'improvviso mi ricordo che è febbraio: il calicanto è in fiore! Accosto e ne raccolgo due rametti: uno per te e uno per Irene. Siete estasiate: non avevate mai sentito un fiore tanto profumato! Racconto accorata di quando l'ho scoperto (o mi ha trovata?), e tu lo annusi dicendo fiera: "Questo è il mio fiore!". 
A casa lo mettiamo in un vasetto pieno d'acqua. 
"Fuori, perché sta bene di fuori". 
"Sì, amore, lo mettiamo fuori, sul davanzale".


Ammiriamo quelle stelline che si stagliano su un cielo insolitamente lattiginoso e ci accoccoliamo nell'intima gioia che nasce da un piccolo fiore. 

Ora però so che non è sufficiente per far quadrare il susseguirsi delle giornate, per garantirvi un futuro migliore. 
Serve molto impegno. È necessario l'impegno di tutti. 

Commenti

  1. Un esperienza unica essere moglie e madre e sentirsi indispensabili ..... Ma è un arma a doppio taglio.
    Allora dopo 6 anni e 2 splendide bimbe e un marito che si dà anche da fare talvolta, impara a VOLERTI BENE.
    Così facendo anche marito e figlie di rendono conto che moglie e mamma c è sempre ma che per essere efficente ha bisogno della collaborazione di entrambi nella quotidianità.
    A una mamma, moglie fa piacere sentirsi dire " ti voglio bene" "sei laigliore" ma le parole non bastano.... Il bene maggiore è quello che si dimostra quando la mamma o moglie è esausta, spolpata e avrebbe bisogno solo di un po' di sana solitudine per ricaricarsi oppure dei mestieri fatto senza dover pregare...

    Non conosco il blog della Natalia,.....
    Ma posso solo dirti, cara Sara che (senza tanta teoria), quella meravigliosa moglie e mamma che sei è nata dai tuoi momenti di debolezza e dalle tue rinascite.
    ORA IMPARA A VOLERTI BENE.
    Che non vuol dire diventare egocentrici, vuol dire saper aspettare che in chi ti circonda s accenda la lampadina che fa luce sull'altro...

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    1. Che belle parole suocera! La "rivoluzione" per noi donne sarebbe proprio uscire dal pericolo della lama doppio taglio, imparando a mettere dei paletti, a volerci bene senza sensi di colpa: nessuno dovrebbe sentirsi in colpa per il fatto di fare qualcosa per sé, perché quello che facciamo per noi ci permette di dare anche agli altri. Solo che ci vogliono tanta complicità e collaborazione, e noi per prime dobbiamo permetterlo. Di generazione in generazione potremo arrivare a una società più giusta per tutti. Grazie per collaborare a questa causa ❤️

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  2. ...e un giorno non molto lontano ti volterai indietro e realizzerai che, nonostante tutto e grazie a tutto, te sei cavata egregiamente... il tempo porrà rimedio alla stanchezza..le tue bimbe non avranno più il bisogno di te impellente..ritroverai i tuoi spazi... e ti riscoprirai inaspettatamente nostalgica di questo tempo che tuo malgrado sta forgiando la tua anima ❤ti voglio bene❤

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    1. Ho già nostalgia del mio fiore di calicanto ❤️ Quello che possiamo cambiare è il nostro modo di essere donne, che è una condizione che esplode e si acutizza con la maternità, ma riguarda tutte 😊

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    2. Il salto evolutivo della tua generazione❤

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