Una storia di quasi Natale

Oggi il giorno è lungo come la notte. I raggi del sole si sono fatti più delicati, ma riscaldano ancora bene la terra, come lingue di fuoco che si propagano dall'estate appena finita. L'aria muove le nostre foglie ormai vecchie, le fa frusciare dolcemente, suonare una musica, una nenia malinconica e piena di gloria. Aspettiamo che vengano a cogliere i nostri frutti maturi, abbondanti come non mai. Siamo fieri, soddisfatti, pronti ad incamminarci verso la pace dell'inverno.

Arrivano in tanti, quest'anno, per la raccolta. È meraviglioso sentirli parlare nel tempo sospeso che il ritmo naturale della campagna sa donare. Sento i miei fratelli sospirare la leggerezza tanto desiderata, mista alla gioia, riconosciuta, di aver fatto un buon lavoro. Presto toccherà anche a me! Il vento tiepido accarezza l'attesa, e io mi crogiolo in fantasticherie.

Quando rinvengo mi rendo conto che non c'è più nessuno. Nel campo regna il silenzio improvviso di una festa finita. Se ne sono andati tutti, e si sono dimenticati di me. O non mi hanno visto? Non sono abbastanza armonioso, gradevole? I miei frutti non sono all'altezza delle loro aspettative? 

I miei rami carichi si fanno sempre più pesanti, quasi a spezzarsi. Magari si spezzassero! Non servono a nulla, non sono buono a nulla. Gli altri meli rideranno di me, penseranno che non sono degno di appartenere al loro stesso podere. Ma perché? Cos'hanno che non va le mie mele?

"Le tue mele non sono ancora mature, sei in ritardo!", dice il mio vicino (sogghignando, ne sono quasi certo). Sono arrivato in ritardo all'appuntamento più importante dell'anno, lo scopo delle nostre vite. Niente ha più senso. 

Mi sento schiacciare dal cielo sopra di me, non voglio guardare nessuno, parlare con nessuno. So che i miei compagni stanno bisbigliando alle mie spalle, e non posso sopportarlo. 

Mi addormento, forse muoio.



Tocchi leggeri, gelati, mi destano dal torpore. Il solstizio d'inverno ha portato la neve. Ma non sono stati i fiocchi immacolati a svegliarmi. C'è qualcos'altro, qualcosa che sento penetrare la mia corteccia, fino alla linfa, e non è il freddo: non è freddo. È una mano vecchia e rugosa, ma salda e delicata insieme, che si è appoggiata al mio tronco. Sono due occhi castani che sbucano da una sciarpa di lana viola annodata davanti. 

"Guarda che bello, nonno! Sembra un albero di Natale con le palline rosse!" 

"Cara, questo è il melo più rigoglioso del frutteto. Ho voluto che rimanesse così, come natura l'ha fatto, perché potessimo venire qui io e te ad ammirarlo oggi. È diventato famoso, sai? Tutte le persone che passano per la strada si fermano a guardarlo e a fotografarlo. I caprioli e gli uccellini sostano sotto i suoi rami per cibarsi dei frutti che sono caduti, nutrimento prezioso durante il lungo inverno. Lascio sempre un albero carico per loro, il più bello, cosicché anche noi possiamo riempirci gli occhi e l'anima di meraviglia". 

"Nonno, posso assaggiare una mela?" 

La saggia mano stacca un picciolo e soffia via la neve dalla buccia rossa. 

"Tieni, piccola. Questo è un dono speciale, il frutto di un lavoro ben fatto. Assaggia, e senti la bontà che che nasce, cresce e matura senza fretta, nel suo tempo perfetto".

Si è accesa una luce nel giorno più corto dell'anno: è l'amore a scaldare il mio legno, la gioia di essere visto e di trovare il mio posto nel mondo.


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