Solo i miei vicini sanno chi sono veramente
I messaggi di riconoscimento e di affetto che ho ricevuto dopo aver pubblicato L’amore delle mamme (io vs Chiara Ferragni) mi hanno fatto capire che c'è davvero tanto bisogno di sostegno alla genitorialità. E proprio adesso che mi sembra di riuscire finalmente a prendere in mano la situazione (non senza rovinose cadute, ma con un desiderio ogni volta più grande di rialzarmi per provarci di nuovo, con la fiducia che un giorno ce la farò e la certezza che posso essere ogni giorno una persona migliore) voglio mettere in ordine i pensieri: per me innanzitutto, ma spero con qualcosa di buono e utile anche per chi dovesse imbattersi nelle mie confessioni di mamma disperata. Perché ripensando agli ultimi cinque anni e mezzo mi accorgo che sono stati dei piccoli particolari, delle frasi, degli attimi di vita apparentemente ordinaria (mia, letta, o ascoltata) gli appigli ai quali mi sono aggrappata, le luci che hanno illuminato il cammino.
RINGRAZIAMENTI
Non si nasce mamme (non tutte almeno 😜) e io sarò per sempre grata alla mia perché pur non ricordandosi niente di quando eravamo piccole noi si è presa cura di me (della sua bambina) quando a mia volta ho dato alla luce Aurora e Irene: anche se io sono quella che non deve chiedere mai, lei istintivamente sapeva che ne avevo bisogno, ed era accanto a me.
Sono grata a mia suocera, perché mi ha insegnato quel briciolo di risolutezza e autorevolezza che ho (altrimenti non avrei manco quello) e come si fa a stare con i bambini piccoli, a far diventare tutto un gioco. Ovviamente io non ho l'indole né le energie per farlo sempre come riesce a fare lei (i nonni esistono per questo, per arrivare dove i genitori, a volte troppo impelagati a badare a sé stessi, non arrivano e, forse, recuperano qualche cosa che a loro volta, da giovani, non erano riusciti ad afferrare), ma senza saperlo mi ha dato uno strumento, un esempio a cui attingere, a cui aspirare.
Ringrazio le maestre della scuola materna che frequentano le mie bambine: vedere come si rivolgono a loro dicendo magari le stesse cose che dico io ma con un entusiasmo, una freschezza, un'energia e un coinvolgimento che fanno la differenza, è stato illuminante: pochi minuti all'uscita dell'asilo che mi hanno donato moltissimo.
Grazie a Francesca Camilla, la mamma che ho avuto la fortuna di incontrare in un momento davvero delicato. Non dimenticherò mai le nostre passeggiate sotto il cielo blu di quell'inverno, e quanto l'osservare la sua paziente e pacata dolcezza materna mi abbia ispirata e aiutata.
Ancora grazie a Adela, e alla difficile sera di "San Nicolò" che ci ha portate a spogliarci delle nostre fragilità: per me era la prima volta e lei, in cima al mio olimpo delle super mamme, mi ha alleggerita di qualche fardello di troppo mostrandomi che nessuna di noi è invulnerabile.
Grazie a Sonia e Ilaria che mi hanno indicato il materiale perfetto da esplorare proprio nel momento in cui ne avevo bisogno.
Ma soprattutto grazie alle mie bambine, che mi regalano ogni giorno la possibilità di lavorare su me stessa alla conquista di una versione migliore di me.
SOLO I MIEI VICINI SANNO CHI SONO VERAMENTE
"Sara, sei esageratamente severa nel giudicarti, io non vedo assolutamente in te il mostro che dici di essere, smettila!" mi ha detto un giorno mia mamma.
"Ecco la mammina! Te lo devo dire, per me sei l'icona dell'essere madre: magari poi sei un disastro, ma io quando ti vedo ho questa immagine" sono state le parole di Matteo quando ci siamo visti l'ultima volta (e ha detto tutto).
"Sei una mamma bellissima e bravissima" invece è una frase che mi sento rivolgere spesso, e che tuttavia non riesco ad accogliere con piena gratitudine, con gioia autentica e soddisfazione, perché sento che c'è una discrepanza fra quello che gli altri vedono e quello che vedo io, che solo io posso sapere, e mio marito, le mie figlie, forse i miei vicini.
Ma partiamo dall'inizio: rimasta incinta di Aurora una mia carissima amica mi aveva regalato due libri a dir poco rivelatori (una manna dai cielo): "Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori" di Daniel Siegel e Mary Hartzell e "12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino" di Daniel Siegel e Tina Payne Bryson.
Avevamo tanto cercato una gravidanza, ma non avevamo assolutamente pensato al dopo: dentro di me avevo la sensazione che sarebbe venuto tutto naturale, non mi ero proprio posta il problema. E invece naturale 'sticazzi'! Nemmeno le prime istintive e ataviche faccende mi sono venute spontanee (tipo partorire, allattare), figuriamoci le prove successive.
Comunque avevo letto, mi ero informata, mi ero preparata, e avevo continuato a farlo nel web durante le lunghe ore di divano con la mia piccola addosso (articoli, blog, gruppi su Facebook sceltissimi e preziosissimi). Diciamo che avevo capito abbastanza presto che la fatica era normale, e finché c'era solo Aurora mi sono sentita anche discretamente fiera di me: sapevo come avrei voluto impostare il rapporto con la mia bambina e che tipo di educazione avrei voluto darle. Avevo tutto sotto controllo. Nonostante fossi esausta perché di notte si svegliava spessissimo, avevo la speranza che presto sarei tornata a dormire sufficientemente (😂) e la forza per dare il massimo ogni giorno. Riuscivo a dedicarmi completamente a lei senza distrazioni o interruzioni, senza grossi imprevisti. Adoravo la mia splendida bambina che con un cipiglio sapeva già far intendere di che pasta era fatta 😍.
Nel mezzo di un tunnel sicuramente tosto ma ancora carico dei migliori auspici, abbiamo scoperto di aspettare Irene. Considerando il tempo che ci avevamo messo a realizzare il nostro sogno di diventare genitori per la prima volta, avevamo deciso di vedere come andava subito, e subito lei è arrivata, con il suo sorriso luminoso e la sua innata propensione all'armonia. Dormiva a ad intervalli regolari di 3/4 ore e la notte anche un po' di più; insomma, sembrava sapere che, con la sorellina che ancora tutte le notti si svegliava ogni due ore, diversamente non avrei retto. Forse per istinto di sopravvivenza Irene è stata una bambina più 'comoda', e lo è tuttora: qualche colica, ma nella norma; qualche crisi da 'terribile two', ma nella norma; risvegli notturni sì, ma più accettabili. Niente di sconvolgente, insomma, assolutamente gestibile. Forse anche perché eravamo abituati a un tenore molto più intenso: pare che sia questione di carattere (la teoria che con il secondo va sempre più liscia è stata sdoganata dalle esperienze di amici: dunque deve essere proprio il carattere). Perché alla prima ribellione forte di una quasi duenne Aurora, invece, mio marito andò nel panico: "Credi che dovremmo portarla da uno specialista?". Io però, grazie alle letture fatte nei miei gruppi sceltissimi e preziosissimi di Facebook, lo rassicurai che era normale, che era una fase comune a tutti i bambini verso i due anni, e che dovevamo solo imparare come gestirla. Conoscevo molto bene la teoria, ma poi mi sono schiantata nella pratica, perché Aurora è tenace, e ci mette a dura prova. Se si impunta non c'è abbraccio o sfuriata che tenga: lei va avanti fino allo sfinimento, nostro (soprattutto mio) e suo. Dal giorno in cui ha iniziato ad affermare la sua caparbia personcina ogni situazione può essere il pretesto per uno scontro. Qualsiasi cosa io le chieda la prima risposta è "no", di default (non dico proprio sempre ma quasi), e mi ritrovo a lottare per fare le cose più semplici della vita di tutti i giorni. Finché sbotto, soprattutto quando sono più stanca e magari ci si mettono anche gli ormoni (c'è da dirlo, noi donne abbiamo una dote naturale di seccature). Mi arrabbio moltissimo e soffro, lei va in tilt e soffre, perché ovviamente sono reazioni che non riesce a controllare.
"Non so perché mi succede, ma non riesco a fare diversamente", mi dice quando poi ne riparliamo e ci scusiamo.
"Amore, è la stessa cosa che succede a me quando mi arrabbio. Ma io sono la mamma, l'adulto che dovrebbe dare il buon esempio, e se ancora non sono abbastanza brava in questo, vorrà dire che impareremo insieme a gestire le nostre emozioni. Ce la sto mettendo tutta, Auri: vedrai che andrà sempre un pochino meglio, che ce la faremo".
Ogni volta che vado escandescenze, poco dopo, nella più desolata contrizione, chiedo scusa, almeno quello. Voglio assicurarmi che sappiano che le amo incondizionatamente, che dopo la tempesta c'è sempre la pace, che anche i grandi (sì, anche la mamma) sbagliano, ma che si può rimediare, sempre; e migliorare: siamo qui per questo.
La verità? Ci ho provato fin dall'inizio a mostrarmi empatica, ad accogliere; a mettermi in ginocchio di fronte a lei per cercare il suo sguardo, per cercare di contenerla con un abbraccio (cosa che peraltro con Irene funziona quasi sempre). Ci ho provato, raramente ci sono anche riuscita, ma la maggior parte delle volte no. Certo, da quando ero diventata mamma bis il carico (non solo di amore) era raddoppiato, le notti insonni iniziavano a pesare parecchio, e purtroppo le abitudini consolidate nel tempo sono difficili da cambiare. Ma il punto è che io non c'ero davvero. Ero fisicamente con le mie bimbe, mi sforzavo e mi prodigavo in attività ludiche e didattiche insieme a loro, ma in realtà, invece di godermi il momento, pensavo a cos altro mi sarebbe tanto piaciuto fare, o alle incombenze che avrei dovuto (o preferito, sono sincera) sbrigare invece che intrattenermi con le Barbie. Ci sono persone che sembrano nate per stare con i bambini, che si divertono e ne fanno una vocazione. Propensioni naturali che io purtroppo non ho (da piccola ero smaniosa di diventare grande e ho disimparato presto a giocare: questo sicuramente non aiuta). Se poi scoppiava la crisi mi sforzavo di rispondere con toni pacati, ma la verità è che avrei voluto fuggire lontano. Cercavo di guardarle negli occhi ma non le vedevo davvero, non ci riuscivo, non ero centrata sul presente, non c'ero. E loro lo sentivano.
Davanti a loro c'ero io ferita, frustrata, impossibilitata a prendermi cura di me (o incapace di farlo?). Davanti a loro c'ero io che facevo la vittima. Io che "ho sacrificato tutto per voi e in cambio ricevo solo lagne e capricci (lo so che 'i capricci non esistono', lo so, dannazione!)". Io che mi informavo, ci provavo, e fallivo. E non venivo ascoltata, mai (anche 'mai' non si dovrebbe dire mai). Ecco, ripensandoci forse questa rabbia l'ho provata qualche volta, prima di diventare mamma. Ed è successo quando, appunto, non mi sono sentita ascoltata, capita, vista. Come quando si sogna di gridare aiuto, di chiamare qualcuno e quello non ti sente. Come un grido rotto in gola.
Forse non ero ancora pronta ad accogliere i bisogni di qualcun altro perché non avevo mai accolto e soddisfatto i miei (e non perché non ne avessi avuto la possibilità, ma non sapevo nemmeno quali fossero). Tuttavia c'è un tempo per tutto, e sembra che solo quando l'acqua sfiora il collo scatti lo stimolo a cercare una soluzione: bisogna imparare a nuotare. Insomma, prima che i tempi fossero maturi non avevo la più pallida idea di cosa sarei arrivata a raspare nel mio barile. È davvero incredibile come un figlio sembri puntare dritto, da subito e con una mira spietata, alle nostre zone d'ombra, come arrivi ad infilare le sue piccole dita dentro piaghe che non sapevamo di avere, e faccia vibrare corde che probabilmente senza di lui non avrebbero suonato più. Tutto questo richiede uno sforzo e un dolore che non si possono immaginare, ma è un' occasione pazzesca per crescere. Non è detto che tutti i genitori vivano momenti di sconforto così grande: dipende da quali sono le prove e i giri che la vita ha previsto per noi. Nel nostro caso il passaggio da uno a due figli ha provocato uno scossone da paura. Purtroppo la privazione del sonno, che si è protratta per ben cinque anni, non mi permetteva di concentrarmi lucidamente su un piano d'azione: ogni giorno si trattava di arrivare a sera tutti sani e salvi, di sopravvivere. A volte ci stappavamo una birra, altre volte era il delirio. Con il senno di poi non so se sia stato un bene o un male avere le bambine così vicine: ci sono i 'pro' e i 'contro'. Forse per l'intensità del carico emotivo e fisico momentaneo sono più i 'contro', ma credo (spero) che a lungo termine prevarranno i 'pro'. In ogni caso non ho dubbi che questo fosse il nostro percorso, anche se abbiamo pensato più volte di essere vicini alla pazzia, e lo avranno dato per certo i nostri condomini.
"No beh, Sara, quella è una folle, tu non hai idea delle urla che sento arrivare dal suo appartamento" andava dicendomi qualche tempo fa un'amica riguardo alla mamma che vive sotto di lei.
"Fermati, ti prego. Non giudicarla. Se ti dicessi che io posso immaginare? Che posso persino capirla? E che forse quello che tu senti provenire dall'appartamento della tua vicina non è molto lontano da ciò che succede in casa mia?".
"Ma cosa dici Sara, figurati! Non hai idea!"
"No, tu non hai idea".
Illustrazione dal libro "Urlo di mamma" di Jutta Bauer
Mamma, tu non hai idea di come divento quando arrivo all'esasperazione.
La maternità ha tirato fuori il meglio e allo stesso tempo il peggio di me: un peggio che non avrei mai immaginato di vedere. Amo così tanto le mie bambine che non mi capacito di come riescano a farmi ribollire il sangue: è mai possibile che delle creature così piccole e meravigliose mi facciano urlare come un animale, contorcermi per evitare di alzare le mani, piangere come una povera martire sull'altare, per arrivare comunque poi, a volte, lo stesso, a strattonarle, a quella sculacciata che 'non ha mai fatto male a nessuno', ma che mi strappa il cuore, perché non va bene per me? Non va bene per me, lo sento. Non va bene e basta. E non mi sto fustigando ingiustificatamente, come sostiene mia madre: io non voglio arrabbiarmi brutalmente con le mie bambine perché sto troppo male, perché quella non è la persona che vorrei essere: non mi imbestialisco così con nessun altro, devo proprio farlo con le persone a cui tengo di più? Oltretutto è solo dannoso, oltre che inutile. Magari dopo la strigliata ottengo un risultato immediato, ma ogni volta mi chiedo: devo proprio sempre arrivare a strizzarmi il fegato prima che mi diano retta? E poi, voglio che mi obbediscono come soldatini in regime di terrore o voglio che mi comprendano veramente? Io so che c'è un'altra via, che c'è un modo per far sì che mi ascoltino senza che diventi una iena. Lo so perché lo ho sperimentato in quelle giornate buone, dove magari sono più riposata e non ho impegni, in quei momenti in cui riesco a portarle con me con qualche stratagemma divertente o anche solo spiegando le cose con 'amorevole fermezza' (e mi sento felice, e soddisfatta, una mamma fantastica).
Ma cosa diamine è questa amorevole fermezza? È la sicurezza in quello che dico, imprescindibile dall'onestà e dalla bontà di intenti, che passa per il tono di voce; è l'incontro fra due sguardi, una guida che arriva dritta al bambino, e non lascia spazio a dubbi sul da farsi. È il contrario dello stanco e pedante predicare, dei 'no' che non vengono recepiti, nonostante ci sembri di fornire insieme ad essi le spiegazioni più ragionevoli. Spiegare il perché delle cose va sempre bene, ma c'è un messaggio implicito, più diretto e più forte, che arriva anche ai bambini molto piccoli (fino ai tre anni di età prevale la parte emozionale e istintiva del cervello e non si può di certo pretendere di comunicare in maniera troppo razionale): è il messaggio pronunciato con convinzione, e sì, con amorevolezza, guardando il nostro bimbo che sta combinando una marachella con gli occhi di chi comprende ma deve mostrare la strada, di chi lo ama incondizionatamente, sempre e comunque. Quel guizzo con la coda dell'occhio che fa intravedere al piccolo, oltre all'ammonimento momentaneo, la fiducia. Funziona. Ma sono io che non funziono sempre bene. Forse perché non sono stata in grado di rivendicare degli spazi per me e adesso non riesco a reimpostare gli equilibri, combattendo continuamente fra il senso di colpa e il desiderio di starmene da sola. Certo, se mi guardo indietro ho la sensazione di vivere nel lusso (mista al sollievo per aver già passato tante fatiche e all'incredulità di aver fatto davvero tutto questo): le cose sono sicuramente migliorate, le bambine conquistano quotidianamente nuove autonomie, ma proprio perché in testa ho l'idea che crescendo dovrebbero collaborare un po' di più, sono anche sempre più insofferente. Mi manca fare la cacca in santa pace, potermi svegliare a che ora voglio almeno la domenica mattina, essere libera di decidere di andare da qualche parte (che sia a fare la spesa, a fare una passeggiata, a un compleanno) o a sbrigare una commissione senza qualcuno che "non vuole" da convincere ogni volta. E
"Auri, vestiti!"
"-"
"Mi hai sentito?"
"Sì..."
"Vuoi che ti aiuti a scegliere la maglietta?"
"Sì mamma."
"Questa secondo me è perfetta con questa gonna."
"Noooo. Io non voglio la gonna, voglio quel vestito!"
"Guarda che oggi fa troppo caldo per questo."
"Ma io lo voglio!"
"Ok, mettilo pure, ma poi non ti devi lamentare per il caldo!"
"Eh okkkay, però mi devi scegliere qualcos altro."
"Auri, scegli tu qualcosa, quello che propongo io non va mai bene..."
"No tuuu! Devi scegliere tu qui con me." (nel frattempo penso che avrei potuto lavare le tazze della colazione o truccarmi o...fare la cacca 😅)
"Ma dai, a che serve che io stia qui a guardarti? Intanto mi preparo anche io, su!"
"No, mamma, tu devi stare qui a guardarmi!" (a muso duro. L'importante non è l'assurdità della richiesta ma il fatto che si faccia quello che vuole lei. So che non dovrei cedere, ma devo anche arrivare in orario al lavoro)
"Allora, ci siamo?"
"Ma mamma, non è colpa mia se i miei vestiti fanno tutti schifo!"
Dopo 20 minuti troviamo l'abito.
"Aurora, adesso pettinati!"
Lei si guarda allo specchio, balla, e dopo che le ho ricordato che deve prendere la spazzola (se la prendessi io al suo posto per sbrigarci sarebbe una tragedia) inizia a lisciarsi i capelli.
"Vorrei una coda mamma..."
"Vieni qui che te la faccio!"
"Aaaaah Grrrrr, non cosììì!!"
"Nessun problema amore, la rifacciamo, così va bene?" "NoOoOoOoOoOoOoOoOoOoOo" (lagna cantilenata o 'miagolìo', qualcuno capirà di cosa sto parlando)
"Allora dimmi esattamente come la vuoi e vedo cosa posso fare."
"La voglio più alta ma più stretta, e con le punte che si vedono da tutte e due le parti quando dondola."
🤔 "Così?"
"NoOoOo OoOoOoOoOoOoOoOo! (scalpitare di piedi) Non capisci niente!! Non la vooooognnooooommmmosìì!!"('Non la voglio così' cantilenato e sbiascicato)
Rifaccio la coda per tre volte, e lei si arrabbia, piange, batte i pugni.
"Ohmmmmmmmmmmmmmm" 🧘♀️. Sono passati 40 minuti, fra 5 dobbiamo essere all'asilo e io ormai arriverò sicuramente tardi al lavoro. Mancano le scarpe e la giacca, e lei continua a piangere mentre dice che vuole la coda, anzi, adesso la treccia. Ma no, due, meglio due. E invece nemmeno l'acconciatura delle principesse va bene.
"Allora vai con i capelli sciolti!"
"Noooooooo tu devi farmi la coda, come la prima che mi hai fattoOoOoOoOo."
"Che?? Ma mi prendi in giro? Mi prendi in giro??? Com'è che con il papà e il nonno alle 8.00 siete già in macchina e io sono ancora qui a predicare? Ma che cavolo volete da me? Me lo merito? Eh? Ditemi, me lo merito?".
A volte piango. E so benissimo che non dovrei farlo, lo so anche mentre dico quello che non vorrei: proprio io, che guerreggio costantemente contro i sensi di colpa, faccio la vittima? Di fronte a due bambine? Sono un'incapace.
Nel frattempo Irene si è vestita completamente da sola (appunto, il carattere!) e inizia a piagnucolare che sta sudando nella giacca (come biasimarla?). Aurora continua imperterrita a lagnarsi.
Mi parte l'embolo, e quando vede la malaparata Irene si rimangia la sua protesta. Aurora perdura con i pianti, ma almeno si fa infilare ste benedette scarpe e saliamo in macchina. Lì urlo come un'ossessa le peggiori cose, e prima di consegnarle alla maestra le abbraccio forte e dico loro che le amo da impazzire, che devono ricordarlo sempre, anche quando mi arrabbio. Vado al lavoro senza voce e con il magone.
Inutile dire che succede solo con me, come solo con me litigano dalla mattina alla sera; il che mi porta a chiedermi se si prendano gioco di me o se davvero solo io non sia in grado di gestirle, se non sarebbe meglio sparire per qualche giorno e se ne andassero tutti a quel paese. Perché la fatica che sta dietro alle foto di Instagram, dietro al bello che voglio costruire, alle cose che mi impegno a fare, è grande. Non viene sempre naturale e spesso c'è un grande sforzo per resistere alla tentazione di scappare, di andare a farmi un giro per i fatti miei lasciando i piatti da lavare, i calzini sporchi della mia dolce metà sul divano dove li ha lasciati, gli escrementi del gatto nella lettiera, le liti, i lamenti.
Tuttavia, a pensarci bene, finché le bambine erano il mio unico orizzonte non mi sentivo così frustrata (al massimo qualche volta brontolavo per l'impari distribuzione del lavoro in casa, ma questo sarebbe un altro capitolo) come adesso che finalmente ho scoperto quali sono i miei bisogni: ora che ho dei progetti personali, sentirei la smania di dedicarmici e mi infastidisce non poterlo fare come vorrei.
Certo, dietro a questo disagio ci sono tante altre cose, perché la vita in famiglia, per quanto sia meravigliosa (e ne vale sempre la pena) è un duro impegno, un continuo misurarsi, ricalibrarsi, rimettersi in gioco. Se non è facile trovare conciliazione neanche con se stessi, come può esserlo mettere d'accordo più persone mentre sono ciascuna in continua evoluzione? La mia vera sfida sarà riuscire a non rinunciare a me stessa (altrimenti comunque non offrirei un rapporto sano ai miei cari) e contemporaneamente a dedicarmi alle mie figlie come desidero. Infondo è stato proprio l'essere diventata mamma a spronarmi, a farmi scoprire doti di cui ignoravo l'esistenza, a darmi un po' più di sicurezza e fiducia, a farmi fare questo viaggio di ritorno a me. E lo devo a tutto il mio ecosistema, un po' di equilibrio.
IL PRIMO PASSO
Nel mio intento programmatico avrei voluto raccontare qualche aneddoto in più e, di tanto in tanto, dare al discorso un guizzo umoristico, che andasse a stemperare questo tema così delicato, ostico, caldo; diversamente mi sono ritrovata in un flusso di coscienza che ci è andato giù piuttosto pesante. Non importa, perché forse sono riuscita nell'obiettivo principale: fare ordine e liberarmi, per ritrovarmi pronta a guarire; andare oltre le apparenze, togliermi dal piedistallo su cui qualcuno mi vede, scardinare le opinioni che si fanno sempre troppo facili, e chissà, magari qualcuno potrebbe riconoscersi, sollevarsi un poco, trovare una soluzione o un punto di partenza.
Di tutte le altre cose di cui mi sarebbe piaciuto parlare, invece, non c'è niente che non si trovi nei due podcast che segnalo qui di seguito. Li ho ascoltati uno dietro l'altro, mentre sbrigavo le faccende domestiche e in auto: il podcast è uno strumento straordinario, che permette di arricchirsi con contenuti di valore senza dover fermare le altre attività, cosa fondamentale per un genitore nell'era folle del multitasking. Queste due mamme mi hanno dato tanto in un momento di difficoltà: formazione, informazione, consolazione e consigli pratici. Nuovi strumenti, insomma, un altro respiro, un grande dono, e forse è mio dovere lasciare a loro la parte costruttiva, perché su quella mi devo ancora applicare parecchio.
Sono partita da "Educare con Calma (La Tela di Carlotta)" di Carlotta Cerri. Nonostante fosse pieno di spunti e di 'dritte' interessanti, all'inizio sentivo Carlotta un po' troppo lontana da me. La percepivo come 'arrivata', come una 'Wonder Woman' (con un 'Wonder Marito' - non ricordo se è sposata o meno, ma suonava bene 😂 -) che riesce a fare di tutto e di più (insomma, che ci vuole? È facile, se sei Carlotta e Alex 😅): e i pannolini lavabili, e i materiali Montessori da lei stessa preparati, il blog, i social, i libri scritti, i corsi che tiene, l'ecologia, i viaggi, la coerenza, due figli della stessa età delle mie. Intendiamoci, lei e il marito fanno smartworking mentre i bambini giocano in giardino e io non sono libera neanche di sedermi sul divano a leggere due pagine di un libro? Poi invece, episodio dopo episodio, è andata scoprendo le sue debolezze, si è mostrata nella sua interezza, zone d'ombra comprese, e ho apprezzato ancora di più tutto il lavoro che fa, a volte anche a scapito della sua serenità, per donare qualcosa di prezioso ("piantare dei semini", come dice lei) al nostro futuro. Non dobbiamo essere perfetti (non possiamo, la perfezione non esiste), né giudicare o fare paragoni, perché ognuno ha la propria storia e non possiamo sapere davvero che cosa c'è dietro, dentro le persone: tutti abbiamo i nostri conflitti, le nostre pene, tutti. Ma abbiamo anche l'opportunità e la responsabilità di rendere ogni giorno il mondo un pochino migliore, step by step.
"L'Educazione Responsabile" di Alli Beltrame è arrivato appena dopo e l'ho trovato più immediato, chiaro, sintetico, eppure preciso e denso di contenuti. Anzi, densissimo. Alli ha una voce rassicurante e la sua fresca ironia è sì funzionale al ritmo del discorso, ma soprattutto è uno strumento potentissimo che dovremmo imparare ad usare maggiormente. A mio parere questo podcast è più fruibile, anche dai papà, in particolare come primo approccio all'argomento. Infatti mio marito, dopo una scenata serale con le bimbe, ha seguito il mio consiglio e ha messo le cuffie. Non lo ha neanche ascoltato tutto, ma questo suo gesto ha colmato grandi vuoti (credo che l'educazione dei figli dovrebbe essere un fatto di famiglia, condiviso) e ha dato subito i suoi frutti, come una magia.
TUTTO SI RIAGGIUSTA
Vado a prenderle a scuola. Irene arriva al cancello, mi salta al collo e mi dice in un'orecchio: "Mamma, devi chiedere scusa ad Aurora". È vero, stamattina non ne ho avuto il tempo. Le stringo forte a me e penso che forse qualcosa di buono sto seminando. Non sarò una performer alla prima, ma mi destreggio abbastanza bene nella riparazione: tutto si può risolvere, rimediare. Lo dico sempre ad Aurora e Irene e ce lo insegna "Urlo di mamma" di Jutta Bauer, il libro che leggiamo prima della nanna ogni volta che abbiamo avuto una giornata un po' storta. Perché noi ci amiamo sempre, proprio come Mini e Maxi, i protagonisti di un altro libricino che ci è molto caro, "Ti voglio bene anche se" di Debi Gliori.
CONTRACCOLPO. PER ANDARE CON PIÙ CONSAPEVOLEZZA VERSO LA MAMMA CHE VORREI ESSERE
Di solito non dico tante parolacce, ma ci è voluta una giornata 'di merda' come quella di oggi per riuscire a portare a termine questo scritto. E purtroppo la definizione è appropriata, visto che sono esplosa con le bambine e ho sgranato il rosario completo dei turpiloqui incurante della presenza dei miei suoceri. Dicono che le parolacce siano un modo per sfogare la rabbia, per evitare reazioni più dannose (forse lo ha raccontato proprio Alli Beltrame in un episodio del suo podcast), ed effettivamente per il momento è l'unico modo che ho per non dare veramente di matto. Non bestemmio eh, per carità, ma con le bambine impreco come mai faccio, in nessun'altra circostanza, con nessun altro. Quando mi sono scusata mio suocero ha sentenziato che forse mi arrabbio troppo poco. La cosa mi ha un po' salvata dalla vergogna pubblica, ma non dal dolore che mi sono portata addosso per due giorni. Ho iniziato a scrivere questo pezzo quattro mesi fa, e ogni volta che lo riprendevo in mano finivo per perdermi, perché faceva male, malissimo. Oggi, dopo questa ricaduta, sono riuscita a tornare nei processi che evidentemente non avevo ancora metabolizzato, e credo proprio che riascolterò tutti i podcast di cui ho parlato sopra, per fissare con più forza i capisaldi della strada che vorrei percorrere, per non dimenticare.
PACE
Stasera so già che cosa cercherò spulciando nella libreria bassa in cameretta e non vedo l'ora di stare abbracciata alle mie bambine, di sciogliere ogni residuo negativo attraverso le nostre letture del cuore (devo ancora capire se "Urlo di mamma" e "Ti voglio bene anche se" servono più a me che a loro 😅), ringraziarle per essere qui con me, e riempirle di baci finché si addormenteranno.
Ricorda cara Sara che ognuno di noi vede più difetti che pregi del nostro corpo,sia fisici che spirituali, ma che dovremmo imparare a vivere noi stessi come turisti in luoghi sconosciuti, soffermandosi di più sulla bellezza soprattutto delle piccole cose.
RispondiEliminaUn abbraccio a te che sei super non solo come madre!
Grazie di cuore per le tue parole ❤️
EliminaProva ad immaginare, quante mamme stanno provando le tue stesse contraddizioni e dubbi, sconforto, gioie, ....
RispondiEliminaUna sola è la verità:
Non si nasce mamma.
Non si nasce moglie.
È solo attraverso la esperienza quotidiana che si diventa mamma, moglie, figlia.
L unico rammarico è che non sempre si vive abbastanza per raccoglierne i frutti.
Coraggio Sara, non esistono, mamme e mogli perfette.
L'importante è credere che tutto questo non è solo una scelta ma pure una missione.
E da lassù c è sempre qualcuno che ci aiuta, basta chiedere e saper attendere😘
Grazie Suocera ❤️
EliminaCara.. In 24 anni avrò riempito tre vasche da bagno con le lacrime provocate dai miei tre figli.. Forza e coraggio, un figlio è per sempre, nella buona e nella cattiva sorte.. Riuscirai sicuramente a trovare il tuo equilibrio e guardando indietro ne sarai fiera.. Ti abbraccio forte come fai con le tue bimbe 😘
RispondiEliminaGrazie di cuore Eloisa ❤️❤️❤️
Elimina