Prossemica e dintorni


Questo pezzettino ero indecisa se farlo uscire. È un'acerba presa di coscienza che mi è costata qualche cruccio, perché ancora non sono completamente immune da chi ha sempre qualcosa da ridire a prescindere. Ma in questi giorni dove un festival musicale scatena tanta (a mio parere ingiustificata) indignazione con annessa espulsione di critiche rabbiose, forse un pochino ci sta pubblicarlo. Siamo stati o siamo tutti vittime di giudizi non richiesti, ci siamo sentiti tutti, almeno una volta nella vita, "insicuri", inadeguati, "sbagliati", "non abbastanza". In particolare, credo, noi miliennials. Ecco, mi piacerebbe, in un mondo ideale, che ci facessimo "distrarre" un po' di più "da noi". Perché piuttosto che brontolare vita natural durante è meglio rischiare di "perdersi" talvolta a "pensare a sé", prendersi "un momento" per fare i conti con i propri demoni prima di occuparsi di quelli degli altri, che se lo facessimo non avanzeremmo di certo tempo per sputacchiare in giro veleno, e forse potremmo arrivare a fare qualcosa di davvero buono là fuori. E quindi niente, viva la mia generazione, che schiacciata da quella di chi ha solo certezze, ha il compito di sostenere le future, affinché non cadano nella retorica dell'eroismo o nello sconforto; un po' come degli zii a cui si può raccontare tutto. E mentre ci arrabattiamo, per andare sul sicuro stiamo alla larga da ciò che è tossico con gentilezza.

Cit. Chiara Ferragni (monologo Sanremo 2023) e Gianmaria ("Mostro")


Stavo ascoltando un audiolibro, "L'Alchimista" di Paulo Coelho. Sapevo di per certo di averlo in casa, lo avevo preso dalla libreria della mamma qualche anno fa. Non rammento propriamente di averlo letto, ma a giudicare dalle orecchie alle pagine ci sono passata, eccome!

Odio questa cosa di non ricordare mai niente. Posso riguardare un film o rileggere un libro a distanza di tempo e avere sì la sensazione che mi sia familiare, ma non ricordare assolutamente che cosa succederà fino alla fine. Ricordo se qualcosa mi ha segnato, che emozioni ho provato, ma se mi chiedono il titolo, la trama, i nomi dei protagonisti, l'autore, il regista o gli attori dell'opera arranco. Dai libri specialmente è come se mi prendessi solo ciò che mi serve mentre fruisco del contenuto, come se li usassi, ne succhiassi avidamente il nettare e mettessi dei post-it sui cassetti del cervello con scritto: "cercare qui al bisogno". Ma poi devo andare a rovistare, a rivedere, a studiare ex novo. La chiamo memoria a breve termine. Quella che mi imponeva i ripassoni prima degli esami e mi permetteva di sfoggiare i collegamenti più sottili presa dalla foga e dall'ardore del momento; e poi tanti saluti.
Quante volte mi sono sentita dire: "Con tutto quello che hai studiato saprai...". No. So quello che mi serve, ma non ho una mente nozionistica, enciclopedica. Non mi ricordo un tubo. E questo tuttavia non intacca la consapevolezza del mio valore, non oggi. Ognuno ha le proprie doti, le proprie attitudini, che può usare o meno e quando lo ritenga opportuno per la propria storia.

Ai tempi dell'università, durante il turno al bar nel quale lavoravo i weekend, un signore si divertiva a decantare poesie a memoria per dimostrarmi quanto lui, che aveva solo la terza media, fosse brillante e preparato. Non come me, non come i giovani della mia generazione. Non come me che avevo studiato tanto per non imparare niente e finire a fare la cameriera. Era uno della vecchia guardia, di quelli che avevano fatto tutto nella vita, come se fosse solo merito loro e non anche delle circostanze favorevoli. Sta di fatto che mi infastidiva parecchio, ma non ero abbastanza sicura di me da riuscire a metterlo a tacere. Solo su una cosa ero d'accordo con lui: il titolo di studio conta relativamente. L'ambiente scolastico può aiutare, ma non è una 'conditio sine qua non'. Ho amici non laureati molto più perspicaci e carismatici di me: sono le persone che hanno coscienza di sé, che lo vivono davvero quel sé. O che almeno ci stanno provando.

Oggi so che quel signore non era affatto il 'self made man' realizzato che diceva di essere. I grandi uomini e le grandi donne non hanno bisogno di sminuire chi hanno di fronte, a maggior ragione se si tratta di un giovane che si affaccia alla vita. I grandi uomini e le grandi donne scorgono la luce che brilla nelle altre persone, e tutt'al più possono aiutarle a vederla da sé medesime, quella luce. Ma di sicuro non criticano le vite degli altri sciorinando soluzioni o sentenze
Forse quelli che hanno l'idea esatta di come dobbiamo vivere la nostra vita [...] non sanno mai come devono vivere la loro. Probabilmente non se lo chiedono nemmeno, non si mettono in discussione; o hanno così tanta paura di guardarsi dentro che preferiscono guardare fuori. 
Me ne dispiaccio sinceramente, perché in questo interessarsi delle vite altrui senza essere stati interpellati, ci sento del disagio più che filantropia.

Ad ogni modo, dopo aver ascoltato il sopracitato passaggio de "L'Alchimista" me lo sono andato a cercare sul libro cartaceo, ed era evidenziato. Non credo di averlo fatto io, non con un evidenziatore verde. Ma era curioso che fosse già segnato. Non è una delle frasi che avrei sottolineato qualche anno fa. O forse sì.

In questi anni più di una persona mi ha detto, a random, che potevo fare altro nella mia vita, ma a parte l'accorato interesse degli affetti, il mondo nel quale mi sono buttata non mi ha chiesto né che cosa avessi fatto prima né che cosa volevo fare da grande: potevo stare, mescolarmi tra la moltitudine, rivendicare la libertà di non seguire un percorso che facesse capo a un progetto: io non avevo un progetto, non me lo sentivo addosso. Ho sofferto per la mia incapacità di decidere, ma che ci potevo fare? Non volevo dare forza al pensiero di essere stata una pusillanime, una fallita. Ho aspettato. 
Non posso negare che le considerazioni dei miei cari, pur sapendo che venivano dal cuore di chi vede dentro il mio cuore, mi disturbavano un po' perché le percepivo come parte della pressione sociale; tuttavia non hanno influito minimamente sulle mie scelte, anzi. Allora non mi vedevo, non mi sapevo e non c'era niente o nessuno che potesse indicarmi una strada. Che poi, la strada non si vede mica sempre tutta intera, in alcuni tratti si cammina e basta, si fa.

Adesso che sono un po' più cresciuta invece finalmente inizio a conoscermi. E forse per questo mal sopporto chi ignorando tutto di me crede di potermi suggerire come trascorrere le mie giornate o pensa di sapere chi sono, affibbiandomi etichette varie. Insomma, partiamo già male. Perché se prima i giudizi gratuiti non aggiungevano né toglievano nulla alla mia confusione, oggi mi permettono di capire chi ho davanti, di capire quando sia o non sia il caso di investire in un rapporto.
Che va bene apprezzare il buono che c'è in ogni persona, perché c'è, ma non devo per forza essere io il catalizzatore di tutti quelli che incrociano il mio cammino. Ho risorse limitate, e le devo impiegare nel migliore dei modi. Diventare grandi è anche affinare il proprio istinto, ascoltare e assecondare il proprio sentire, scegliere con chi accompagnarsi, come e quando.  

Ho pochissime amicizie, quasi tutte di vecchia data. Ho avuto la grande fortuna di incontrare tante persone speciali durante la mia infanzia e la mia adolescenza; dopodiché sono sempre stata molto selettiva. Difficilmente faccio entrare qualcuno nella mia vita e sono piuttosto ritrosa nell'aprirmi a nuove relazioni. Ho anche creduto che potesse essere un problema, ma ora so che è perché sento quando qualcuno lo voglio accanto, quando so che potremmo donarci a vicenda. E se non avverto quella spinta reciproca non è necessario che io accetti di andare oltre. 
Mi è capitato spesso di provare dei sensi di colpa perché non mi veniva da ricambiare le attenzioni di alcune persone, quando volevo dire di "no". Mi succede ancora di andare in crisi quando vorrei rifiutare e non so neanche il perché. A volte infatti non ci sono dei motivi manifesti per stare alla larga da qualcuno (tanto che ci si sente quasi degli stronzi a negarsi, a sgattaiolare via), ma la mia pelle è sempre più consapevole, e non sbaglia. 
Ho incontrato tantissima gente grazie al lavoro di barista, tuttavia non sono propriamente un animale sociale: non ho alcun problema a stare in compagnia di me stessa, direi al contrario che è proprio una necessità, e Dio solo sa quanto da mamma questo spazio mi sia mancato. In passato ho temuto che il mio bisogno di solitudine non fosse normale, che non fosse socialmente opportuno.

"Ma non fai dello sport? Non hai degli interessi?" Veramente no, io scappo da casa per camminare nei boschi, per stendermi su un prato a guardare il cielo, per sentire solo lo scorrere dell'acqua. Dopo le lezioni preferisco salutare tutti e defilarmi, girovagare per le vie della città al mio passo, scegliendo la strada più lunga. 
Non sono mai stata l'amica a cui chiedere "Mi accompagni in quel negozio?", anche perché a negozi semmai ci voglio andare da sola, per non dover indugiare su cose che non mi interessano o avere qualcuno lì ad aspettarmi. 
Alla veneranda età di 36 anni realizzo che è semplicemente il mio modo di essere.  
Non è che non mi piaccia stare in compagnia, con gli amici, è solo che per ricaricarmi ho anche tanto, tantissimo  bisogno di stare da sola. E soprattutto devo evitare ciò che interferisce, che sento stonare dentro di me. Ho imparato che la mia reticenza è un campanello di allarme che mi dice di non invischiarmi dove non ne uscirei bene, dove potrei perdere energie anziché trovare ricchezza. Ne va del mio equilibrio, che non gode sempre di ottima salute, anche se cerco di non darlo a vedere. Non sono avara, mi accorgo solo di essere incredibilmente lucida e di aver abbandonato il 'magico mondo di Polly e Poket', come lo chiamava un mio caro amico (il mondo tra le nuvole, per intenderci), che, lo riconosco, mi è servito come scudo al male del mondo, come strumento inconscio per aggirare diverse situazioni tossiche. Ignorare il negativo, le dicerie, mi ha permesso essere traghettata verso l'età adulta più o meno indenne. A parte il problema di essere troppo compiacente, ma ci sto arrivando.

Nel bagno delle medie sono stata spiata dalle bullette più grandi e derisa per i miei jeans di seconda mano fuori moda (oggi sono delle adulte con cui scambio volentieri qualche parola se le incontro, chiedendomi ogni volta, con un abbozzo di sorriso, se loro se lo ricordano), ma non mi sono sentita umiliata. Non ero io che non andavo bene, erano loro, questo era indubbio. A scuola ero quella che si definisce una 'secchiona' eppure nessuno dei miei compagni mi ha mai trattata come tale. Nelle classi che ho frequentato non mi sono mai sentita emarginata per questo, mentre è successo che taluni da fuori sermoneggiassero qualcosa a riguardo, come se prendere buoni voti fosse una specie di onta. Passavo i miei compiti agli amici la mattina sul bus senza alcuna remora o gelosia, perché loro sapevano chi ero, e mi sentivo amata. Non ho mai pensato che qualcuno potesse giudicarmi, nemmeno nel momento in cui succedeva. Per i jeans, per i baffetti, per i seni assimmetrici, perché andavo bene a scuola. Mi sono persino sentita dire che ero 'quella strana'. Curioso, non mi era mai venuta in mente una cosa del genere, non mi sentivo strana: ero io.
Insomma, incassavo e poi mi facevo scivolare tutto addosso. Non ho patito e non mi sono mai sentita esclusa. Chissà, forse intuivo che certe esternazioni erano solo il frutto di una fase che alcuni dei miei coetanei si trovavano a vivere. Avevano il peso che trovavano, e il tempo mi ha dato ragione.

Da più grande invece ho iniziato a provare un certo fastidio per le opinioni non richieste, perché finché si parla di ragazzini è un conto, ma da individui maturi mi aspetto ben altro. Quando qualcuno, solo perché magari è anagraficamente più vecchio di me (peraltro), si permette di giudicare o di fare dell'umorismo fuori luogo e di dare lezioni di vita a prescindere, sento solo una gran voglia di scappare. Sono abituata a mettermi alla pari con il mio interlocutore, che abbia 0 o 100 anni. Mi metto semplicemente in ascolto, perché sicuramente ha qualcosa di interessante da dirmi. Se l'approccio non è lo stesso da parte sua per me finisce lì. Dobbiamo essere tutti gentili con tutti, questo è indiscutibile, ma abbiamo il diritto di scegliere chi può occupare il nostro spazio personale (prossemico, quanto mi piace questa parola!) e chi no. Già che uno non percepisca qual è il limite per me è fuori. Non che non possiamo salutarci e scambiare due chiacchiere di circostanza, ma basta così. Perché si tratta di invadere, fisicamente o verbalmente poco cambia. Se non mi sento a mio agio abbiamo poco a che spartire, e non c'è niente di male nel discernere le proprie emozioni. Siamo miliardi in questo mondo, è naturale avere più affinità con alcuni caratteri rispetto ad altri. Non devo per forza, ecco. 

A volte mi chiedo come ho fatto a lavorare tanto in un bar. Beh, lì c'è il bancone, la linea di confine grazie alla quale è più facile sbrogliarsi dalle situazioni scomode. La gente passa e va, e tutto si risolve in una battuta, fa parte del gioco. E comunque tu resti la barista, non è che puoi uscire con tutti, quindi alla fine nessuno ti chiede davvero di approfondire più di tanto la conoscenza. Che poi è questo il punto: non si chiede, non ci si autoinvita. Le cose o vengono o non vengono, e casomai devono nascere spontaneamente. Succedono, è questione di chimica, di alchimia

Mi scopro piuttosto introversa, e forse lo sono da sempre a dispetto delle apparenze. Ho sperimentato, sono riuscita a diventare velocissima, eclettica, ho respirato l'umanità più varia, ma adesso che ho rallentato la corsa mi rendo conto che questa distensione meglio si confà alla mia persona. Non devo più intrattenere nessuno anche se non sono dell'umore, correre ad esaudire le continue richieste degli altri; posso andare al mio tempo e secondo le mie necessità. E poiché non posso più nascondermi dietro un banco mi devo prendere l'onere delle mie scelte, piaccia o non piaccia. Del resto, non dobbiamo piacere a tutti. Non è sempre la persona giusta, il luogo o il tempo, bisogna rendersene conto. I legami accadono e si sentono, sono biunivoci. E se non è così va bene lo stesso, senza alcun cruccio: 'al cuor non si comanda', così si dice. E quando la pelle parla mi devo proteggere. Senza cattiveria, senza risentimento, semplicemente adesso non ne ho, tantomeno se non c'è connessione.

D'altro canto sono immensamente grata per i rapporti preziosi che nella loro estrema libertà si fanno godere per quel che sono e quando sono, perché è solo liberi dalle aspettative che si può amare davvero. 

Commenti

  1. Sara ❤️mentre ti leggo mi riconosco .. come guardare dentro ad uno specchio 😘
    NB son tornata anonima..boomer senza speranza 🤣

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari