Laghetti blu

Ho sempre pensato che fossero un po' tristi le valli che danno sulla pianura. Non riesco ad osservarle dall'autostrada, perché da lassù si vedono solo le chiome degli alberi a formare un tappeto di foglie così fitto e vicino che sembra di poterlo toccare allungando un braccio dal finestrino. Ma quando viaggiamo sulla statale, più in basso, si apre un mondo nascosto e mi chiedo ogni volta come sarebbe vivere lì, con il sole che splende solo per mezza giornata, con le case vecchie e le insegne scrostate che parlano di un passato glorioso, neanche troppo lontano; di vite che sono scappate via, di viti che davano frutto e sono rimaste a inselvatichire sui terrazzamenti costruiti con tanta fatica nei secoli. 

In qualche fatiscente luogo di ristoro per i camionisti scorre ancora una linfa di relazioni e incontri, pulsa sottopelle, sotto i viadotti dell'alta velocità dimentichi degli antichi valichi che portavano alla montagna. Fra i coppi sbeccati dei tetti un filo di panni stesi ad asciugare, un triciclo in cortile. Si accendono le luci di nuove presenze, di abitazioni che costano poco e aprono le sgangherate porte a chi si accontenta di meno, ma dal fondo può ancora apprezzare la bellezza di un posto dimenticato da tutti. 

Sui tavolini dell'area pic nic una famiglia ha steso una tovaglia e vi ha disposto sopra dei contenitori ermetici, una pentola, e diverse bottiglie di birra, che non so come si faccia a bere una birra ghiacciata nel freddo di una sera d'autunno, come se non ne avessimo bevute a decine sugli spalti dei campi da calcio, intabarrati nelle giacche, quando avevamo vent'anni.

Le centrali idroelettriche sono grandi, e anche se furono costruite con un certo gusto, restano un pugno nell'occhio sugli specchi lacustri che alla fine della glaciazione dovevano essere stati luoghi incantati. Ma non smanio più alla ricerca della perfezione: il passato non si cancella, si deposita, e fra le spire del suo imperfetto avvilupparsi fioriscono le storie. È questo che mi interessa davvero: riempire gli interstizi fra i cocci di un vaso rotto con polvere di metalli preziosi, come si fa nella pratica giapponese del Kintsugi. L'oro, cerco assiduamente l'oro.




I laghetti del Fadalto sono blu. Nonostante il sole abbia scollinato da un po' il colore è ancora brillante. Pare che sia dovuto ai minerali sedimentati sul fondale, questione di chimica, insomma.
Le staccionate rovinate, un cartello storto, le reti bucate fra i bacini, il rumore delle auto sopra di noi, come una colata di banalità sulle cose. Ma qui, in questo posto banale, insegno a mio papà come guidare la luce nella fotocamera, guardo l'acqua turchina riempire gli occhi delle nostre bambine (loro sono sempre felici quando sono vicino all' acqua, credo faccia parte del patrimonio genetico), una mano stringe un'altra. 




Commenti

  1. Sempre poesia nei tuoi racconti, dove fai brillare di luce le piccole cose, come Vermer nei suoi dipinti..perché in fondo il vero segreto della felicità è vedere il bello in ciò che c'è, piuttosto che vagare nella ricerca dell'impossibile o dell'improbabile, proiettati in un futuro che non può fornire certezze, perché manca dell'aver vissuto il momento presente .. nel godere appunto delle piccole cose❤️ mummis❤️

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