Le cose che non tornano

È tornato, dopo quindici anni. È tornato e si è sistemato un appartamentino, lo stesso, ironia della sorte, che ho condiviso con il mio ex compagno per qualche anno. Ma dico, con tutti i posti in cui ha vissuto, e quelli che deve ancora scoprire, proprio qui doveva tornare? Voleva viaggiare, esplorare, andarsene da questo buco di culo che è il nostro paesino di montagna. Forse che non ha trovato quello che cercava oltre le vette, al di là del mare? 

No, non ce l'ho con lui. All'epoca io non potevo mollare tutto per seguirlo, e più tardi non sono riuscita a concedermi un amore così grande. Avevo paura di avere troppo, paura addirittura che legarmi per la vita all'uomo più dolce del mondo potesse assuefarmi, appiattirmi, precludermi l'adrenalina di cui avevo bisogno, limitarmi nella scoperta di me stessa. 

Ci eravamo appena conosciuti, anche se sarebbe meglio dire che ci eravamo appena innamorati, perché quassù ci si conosce tutti da sempre; la piccola differenza di età fra noi era bastata a far sì che non ci fossimo mai frequentati prima, ma quell'estate ci eravamo visti, all'improvviso. Io avevo iniziato a lavorare dalla Nella, nella bottega del paese, per guadagnare qualcosina durante le vacanze. Lui era sceso per comperare un quaderno. Glin glon (il campanello che suona ogni volta che qualcuno entra è ancora lo stesso).
Stavo sistemando la scala per togliere una ragnatela sopra l'ultimo scaffale. La Nella si raccomandava sempre che fosse tutto in ordine: controllare le scadenze, fare la polvere, disporre la merce in allineamenti perfetti, al millimetro, bagnare i gerani sui davanzali, che si sa, i balconi fioriti delle case di montagna sono sacri: servono ad esaltare la bellezza fugace della bella stagione, a mettere in mostra i colori che solo quassù. Inutile dire che ormai erano tutte cose a cui dovevo pensare io, almeno per il tempo che potevo darle una mano. Quel giorno mi aveva lasciata da sola per un paio d'ore. Ero troppo fiera di essere al comando. Lei si fidava di me, e io l'avrei ripagata con il massimo impegno.
- La tengo ferma io!
Mi voltai e lo vidi sorridere. Avrei voluto non arrossire.
- No figurati, posso farlo più tardi.
- Beh, ma visto che sono qui...
- Okay... Ci metterò un attimo.
Imbarazzo totale. Sarei inciampata, avrei rovesciato qualcosa, sicuro. Dopo un momento di esitazione, che mi sembrò lunghissimo, arrivai in cima e ripulii l'angolo di muro con le mani che tremavano. Quanto odio quando il corpo se ne va per i fatti suoi, proprio nel momento in cui avrei bisogno di avere le redini di me stessa. Lui mi stava guardando, sentivo i suoi occhi addosso. Forse avevo gli aloni sotto le ascelle, a quel punto. E il buchino sui leggins che mi ero dimenticata di rattoppare? Non avevo altro da mettermi oggi, proprio oggi? Sono scesa, con attenzione, e mi sono trovata vicina a lui, così vicina da sentire il suo profumo, il suo respiro, un' energia palpabile, che voleva risucchiarmi, come una calamita, una forza invisibile e verissima che mi stava trascinando via. Abbiamo risposto la scala, ha pagato il suo quaderno, ed è uscito. La Nella era sulla porta del rerto, in silenzio. "Bel bocia, el Nicola", disse sorniona.

È rarissimo che le coppie che si formano in adolescenza durino per sempre. Credo sia perché quando sei giovane e non ti sai corri il pericolo di annullarti in una relazione simbiotica e paralizzante ancora prima di diventare grande. Oppure segui la spinta alla tua evoluzione, ma non riesci a comunicarlo, o il partner non riesce a capirlo, e così risulta impossibile crescere insieme. Ci vuole troppa consapevolezza, troppa presenza. Quanti possono vantare di un tale bagaglio a diciassette, a vent'anni? E anche dopo? Io non ero più l'immagine ideale che lui aveva di me, che io stessa avevo avuto di me, e stavo scoprendo di avere parecchio buio nelle mie profondità. Ma non potevo farglielo vedere, perché ancora non ci capivo niente nemmeno io. Non ebbi il coraggio di condividere con lui quello che mi stava succedendo. È paradossale come proprio con le persone più vicine sia difficile parlare, dirsi le cose. È il timore di non essere capiti, di non essere accettati, che fa accumulare i non detti, che fa esondare mari di distanze. Comunque quello era il mio di viaggio, e non avevo bisogno di andarmene per intraprenderlo, a me non interessava scappare: stavo bene nel mio microcosmo. Fare il giramondo era un suo desiderio. Ci salutammo con dolore, ma la stima reciproca non si è mai esaurita. Soprattutto la sua nei miei confronti. Qualche volta ci scriviamo. Come stai? Cosa ti succede? Ti ho sognato, ti penso. Così, a caso, fra le cose delle nostre rispettive vite, che sono andate avanti agli antipodi del globo.

Fatto sta che non mi ha nemmeno avvisata del suo ritorno, lo ho saputo in bottega, dalla Nella, e sempre da lei ho appreso che ha comprato il trilocale in cui avevo abitato fino all'anno scorso. Per settimane l'ho visto passare su e giù, in un andare e venire furgoni e betoniere, idraulici ed elettricisti. Percorrevo a piedi, come sempre, la strada verso casa dal negozio e, chissà come, non arrivavo mai in tempo per incrociare il suo sguardo. Che in una via di quattro case, come si fa a non incontrarsi?
Mi ha lasciato un biglietto nella buchetta delle lettere. Mi batte il cuore come quando da ragazza quell'estate avevo aspettato tutti i giorni il postino sul cancello per ritirare le sue buste gialle che profumavano dei limoni del Garda. Era giugno, e proprio nel momento in cui ci eravamo dichiarati, dopo il nostro incontro in bottega, era partito per trascorrere una lunga vacanza al lago, dagli zii. Lo strazio, l'attesa, l'intensità di quell'abbraccio nel bosco, una sera di settembre. Erano passati due mesi, nei quali ci eravamo detti tutto, roba da far straripare il cuore. Ci incamminammo per il sentiero di Sopra, scambiandoci battute impacciate e senza senso. 
"Non ti ho detto proprio tutto"
"Cioè?"
"Sono fidanzato"
Lo sapevo. Sapevo che era fidanzato con una ragazza di Belluno, tempo fa, ma non l'abbiamo quasi mai vista in paese, per me poteva anche essere finita. E poi, che si mette a flirtare con un' altra uno impegnato in una relazione? 
Tutte le aspettative e le fantasticherie crollarono su di me, enormi massi mi coprirono e mi annientarono con il loro peso, con la forza di una frana. Non riuscivo a respirare, figuriamoci a dire qualcosa. Ci guardammo, mentre la sera si portava via le ultime luci. 
"Stiamo insieme da un anno, ma è complicato. Non sono più sicuro dei miei sentimenti, dopo che ti ho vista quel giorno, dopo quello che abbiamo condiviso in questi mesi. Ho bisogno di tempo per sistemare le cose". 
Ripresi fiato, il sangue tornò a scorrere, il cuore a battere, il macigno che mi aveva schiacciato il petto rotolò giù per la china.
Ma le gambe erano ancora bloccate sotto i detriti. Mi prese la mano e mi tirò fuori dalle macerie del mio sogno infranto. Mi abbracciò, esitante. Sentii un calore irrorare il mio corpo fino a tutte le estremità, e la sua presenza fondersi con la mia. Restammo così per un tempo indefinito, che avrei tanto voluto rimanesse tale. Forse era un assaggio di paradiso, forse era questo fare l'amore, pur rimanendo leali alla sua integrità. Mi accarezzò la schiena, su e giù, con una delicatezza che non avevo mai conosciuto, così lontana dai modi rudi dei ragazzi che avevo frequentato, tutti presi a far bella figura, a fare le cose come si racconta vadano fatte. Lui mi stava sfiorando l'anima, senza fretta, senza fine, e sembrava sapesse esattamente chi ero, ancora prima di me. 
Quell'abbraccio rimane un mai prima e un mai più, il picco di intensità della mia vita. E ne sono successe di cose poi, persone, matrimoni, figli, cose importanti, insomma. Tuttavia quella comunione assoluta arde ancora irraggiungibile nel mio cuore.

Apro il foglietto di carta piegato in due: mi invita ad un aperitivo che ha organizzato per inaugurare la sua nuova casa. Non me la sento di chiamarlo. Forse ci farò un salto. 

Ora, non riesco a spiegarmi il fatto che non si sia ancora fatto vedere. È vero che è da un bel po' che non ci sentiamo, ma perché non mi ha detto del suo ritorno? Perché mi ha evitata? È chiaro che mi ha evitata. Mi disturba questo vuoto, stride troppo con la sua trasparenza.

Andò all' università. Un paio di anni dopo, quando anche io ebbi finito il liceo, mi chiese di raggiungerlo. "Vieni qui a Trento, starai da me, ci divertiremo". Trascorremmo l'estate sempre insieme, al paese, fra le nostre montagne. Una storia perfetta, lui era l'uomo perfetto. Mi inondava di coccole, di amore, e io temevo che non sarei riuscita ad accettarlo tutto, ogni giorno. Cosa poteva esserci più di così? Si poteva rimanere placidamente in alto per sempre? Era troppo per me. Avevo scorto il germe della noia, del troppo bene. Ci si può stancare di troppo bene? Avrei potuto deluderlo, ferirlo, sporcare l'immacolata vita che ci attendeva. Rifiutai, scelsi un'altra città. Passarono tre anni, e lui mi propose a bruciapelo di seguirlo a Berlino, dove aveva vinto un dottorato di ricerca. Non avevo progetti io. Qui avevo la mia famiglia, gli amici, i miei punti di riferimento, il mio fiume e Venezia. Mi muovevo a stretto raggio per i sentieri noti e le calli misconosciute, ero libera di non decidere, di perdermi. E poi non potevo permettermelo, non sapevo cosa fare della mia vita, dissi un' altra volta di no. Tre lustri di vita ci hanno separati, anche lui ha conosciuto il buio in fondo al cuore, il dubbio, l'incertezza. Forse per questo so che adesso sarebbe diverso. 

Tre stanzette su due piani piene di legno. Le pareti in muratura erano state bianche, e invece adesso vi si inseriscono dei riquadri color carta da zucchero, verde petrolio, acqua marina. Il disimpegno è diventato un salottino e incredibilmente ci sta un piccolo divano salvia, in stile retrò come va di moda adesso. Ripenso alla cucina, così piena di pensili, così appesantita dagli intarsi del legno (per non parlare dei pomelli con decoupage di roselline), che non c'era posto per il tavolo. Il bagno veniva direttamente dagli anni 80, con i suoi tetri fiori lacustri sulle piastrelle. Eravamo in affitto, io e il mio ex, squattrinati, giusto che avevamo portato due valigie con i vestiti: pareva di essere sempre pronti a traslocare. Eravamo sempre pronti a litigare, a sputarci addosso l'infelicità. Quanta sofferenza, fra queste mura. 
Ora la cucina è in laccato bianco e larice, un tavolo massiccio, anch'esso in larice, sfuma sul piano cottura, e dei calici vi sono allineati con cura. 
C'è un via vai di gente che non ho mai visto, donne di città che siedono con le gambe accavallate sul minuscolo divano. Come fanno a starci tante persone qui? La porta era aperta, sono entrata nella mischia come un pesce nuovo in un acquario, dove gli altri già sguazzano comodi e a proprio agio. Non trovo un angolino in cui stare, non trovo lui. Sale dalla cucina con un vassoio di stuzzichini, mi guarda e mi sorride, ma non lo riconosco. Non so che cosa mi voglia dire con quel sorriso, sembra uno di quelli di circostanza, da uomo di mondo troppo impegnato a intrattenere inutili conversazioni. È così diventare grandi? Gli ho fatto davvero così tanto male? Chi mi credevo di essere, io, convinta che sarebbe corso a stringermi forte?
Ho sempre pensato che le persone che rimangono nel nostro cuore non smetteranno mai di guardarci dentro, che ci sono legami in grado di superare le barriere dello spazio e del tempo. Il bene, il male, non si dimenticano mai, c'è sempre qualcosa che torna a risuonare e rivendica il suo posto. Ma non ero preparata all' indifferenza. Il fatto di non riuscire a vedere niente nei suoi occhi bruni mi getta nello sconforto. Sono fuori da questo cicaleccio, non posso entrare. Rimango fuori come un cane sullo zerbino, a sentire le risate che vengono da dentro. Come un adolescente che non vogliono nel gruppo. Non avevo mai provato niente del genere. 
Me ne vado in sordina, come sono arrivata, e rimango nel limbo delle possibilità, di tutte le cose che potevano e che potrebbero essere, che non quadrano, non tornano, non ora.



Commenti

  1. Ancora una volta mi stupiscono i tuoi pensieri così simili ai miei.. Questo cuore diviso in tanti piccoli pezzi, ugualmente importanti, che non dimenticano persone e momenti, a volte perfino oggetti...

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