Venezia

I pozzi, le vie e le piazze lastricate con grandi pietre rettangolari, così diverse dai cubetti di porfido di Belluno. Questo mi era rimasto impresso la prima volta a Venezia, da bambina. Di nuovo i pozzi, le calli, i campi. Feritoie di luce, corti di sole, cisterne di storia. 





Un'anziana signora sfoggia un rossetto vivace dal balcone della città vera, vissuta, e non vede l'ora di indicarci la strada verso piazza San Marco. Ma noi non vogliamo andare subito là, perché ci siamo infilati proprio qui, fra i vicoli più defilati, e ce li gustiamo, scorcio dopo scorcio. La assecondiamo, la ringraziamo, lei ci saluta fra le imposte accostate, le piante nei vasi. 













Abbiamo camminato, né troppo né troppo poco, il giusto per le gambe più corte. Appena un accenno di ritorno al babywearing nella bolgia di San Marco, che non potevamo non passarci, ma oggi Venezia, dopo le gite di scuola, è fatta di soste alle osterie, sui gradini di una chiesa meno frequentata, intorno a un pozzo chiuso, e ci innamora. Davanti alla bellezza non c'è lamento, non c'è fretta, c'è solo da riempirsi gli occhi e il cuore. 




















Inesorabilmente attratti dall'acqua, un fascino di cui ho preso consapevolezza grazie alle bambine, ma che è da sempre nella carne, nello spirito che nei suoi riflessi trova pace. Che sia scorrere, scrosciare, lambire di onde, è lì alla fonte, sull'argine, sulla battigia, sui muri del porto, sedute lungo il bordo di un canale che perdono lo sguardo, e noi con loro. 






Il libro più piccolo lo avevo preso per il viaggio in treno. Rosa su rosa, roccia su verbo, Giovanni che si incontrano di nuovo: l'asceta precursore, figlio del santo che riposa nella cripta, il pescatore filosofo, protettore dei teologi e degli scrittori. Un profumo, quello dell'intuizione, di una verità che non scende dall'alto, perché è già nella terra, nelle viscere, nelle cose semplici, nell'anima e nella parola che la disvela, a patto che continuiamo ad onorarla. "È bella", questa chiesa abbagliante fuori e scura dentro è bella. Fiammelle nel buio. Il tempo di una preghiera e di uno spritz, di un gelato sul sagrato, di un complice abbraccio.







Le amiche si confidano storie di scuola e d'amore, rollando del tabacco No Name. I filtri sul tavolo, l'accendino fluorescente si agita in mano, nel flusso del racconto.
Due fidanzati si appoggiano al muro come gatti al sole. Non avremmo mai pensato di trovare un micio in libreria, soffice eleganza che si muove tra i volumi. Gatti e libri: discreti, delicati, sfacciati. Sanno corteggiare senza imporsi, senza colpe. Sanno di libertà.













Un fico è cresciuto fra i mattoni rossi sopra un portone. Radici e cavi elettrici, la vita che non si rassegna: parte da quel che c'è, e con quel che c'è fa quel che può.



Aspiranti influencers si mettono in posa sui ponti, nell'obiettivo di aspiranti fotografi. Boccoli appena fatti, ciglia finte, forme cinte da abitini attillati, seni pallidi, pelle d'oca. Scatti effimeri, come la folata di vento che scompiglia i capelli.

I gondolieri sorridono, scherzano in dialetto mentre scortano turisti ignari. Una caciara leggera, come le gondole che scivolano sul pelo dell'acqua; gergo colorito e mai volgare, piuttosto gentile. I gondolieri sono gentili, dentro le loro maglie pittoresche; sono la fatica che non inibisce, non ostacola il passaggio, anzi, ne è il motore, il carburante. La fiumana non si ferma,  guizza piena di grazia. 






Venezia è una vecchia che si scola la vita tenendo per mano chi l'ha saputa guardare.



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