Stravedo sul Cordevole

È da quando sono diventata mamma che vivo con più inquieta consapevolezza il passare delle stagioni. Il pancione cresceva nell'estate del 2015, e mai mi era sembrato fino ad allora di aver patito tanto caldo. Pensai fosse colpa della gravidanza, poi mi resi conto che era proprio vero: le estati sempre più torride cedevano il passo a inverni sempre più miti. Ho iniziato a conoscere la montagna (tardivamente, per essere una che vive ai piedi delle vette più belle del mondo), a osservare lo spicchio di Marmolada che si vede dalla casa di mio suocero a Livinallongo, anno dopo anno. Si è fatto strada il pensiero che l'acqua del Cordevole, gelida e abbondante nei secoli dei secoli, non fosse così scontata, un miracolo permanente.

Il terreno si è fatto sdrucciolevole sotto i piedi nel segno della precarietà, e tuttavia, vedendo che intorno si continua come se niente fosse, mi crogiolo nell'illusione che sia tutto a posto, così com'è dacché ho memoria. La forza dell'abitudine ci consola, ci aggrappiamo ai punti fermi che non smettiamo di cercare e creare, a un solido muro, a un argine nuovo che sembra definitivo, senza considerare che "il paesaggio è passaggio", che "tutto si muove e si trasforma". 

Il mio essere qui oggi è il regalo di una persona speciale (mio marito): sapeva che mi riguardava. Un po' per il luogo, un po' per la copertina: figura d'albero e sentiero d'acqua, groviglio di rami che sono anche radici; percorso simbolico e solco tangibile, metafora che freme il suo disvelarsi e realtà che ben si guarda dalla risoluzione. Sono venuta a onorare Il fiume, a sentire che si dice di lui, ad ascoltare una storia, un canto, a cercare una conferma dell'intimo legame con la sua placida via, davanti al sempiterno "stravedo" della vita mia. Nella borsa, va da sé, un setaccio per la poesia. 




Siamo ai piedi delle "ultime Dolomiti"(mi pare di averle già chiamate anche io così, con tutto il cuore), a me carissime perché propriamente casa, "nel punto in cui si misura la porzione più ampia della Valbelluna": è l'incontro di due grandi valli. Pare che il Cordevole, dopo una lunga disputa, abbia dovuto lasciare il primato al Piave solo perché "al vien da Perarol, dove tutti i fa quel che i vol ", ma di fronte alle frane glaciali è lui che ha dimostrato di avere carattere, mantenendo la rotta. Il Piave le ha scansate, è scivolato per caso lungo la nostra conca e ha baciato Belluno, giovane e unica sposa, prima di conquistare la pianura. C'è sempre una grande città ad un certo punto, sui grandi fiumi, ma sul Piave no, perché il Piave, rotto il ponte bellunese ("i ponti si rompono e si ricostruiscono, da sempre"), ha cambiato spesso strada: variazioni e ritorni, secondo natura. Lo hanno imbrigliato in forti argini infine, e più si avvicina al mare, più il suo letto si fa stretto e pieno di anse. Mi sono sempre chiesta come mai i fiumi fossero così angusti e tortuosi laggiù, proprio dove non ci sono più ostacoli e nonostante la portata ultima. È tanto molle la terra lì, da farsi scavare così? Non avevo mai pensato, ignara osservatrice da finestrino, che si trattasse di opera dell'uomo. Eppure adesso mi rinviene che a scuola ci era stato raccontato dei grandi lavori idraulici che spostarono i fiumi affinché Venezia seguitasse a diventare: 500 anni fa la laguna stava morendo, doveva essere salvata. "Ma le lagune nascono e muoiono", come tutto, come i nostri ghiacciai, che colano nel languore della fine. 

Passa una libellula, fra gli spettatori, emblema del mutamento, inafferrabile movimento. Si muovono le pietre, pezzi di Dolomiti ruzzolati a valle che diventano una falda acquifera enorme, la più grande d'Europa. Un lago sotterraneo, dove la giara purifica l'acqua e la lascia scendere fino a che incontra l'argilla (sassi e detriti che si sono consumati e fatti limo), e allora scova pertugi da cui uscire, e affiorano nuove sorgenti, che alimentano nuovi fiumi: i fiumi di risorgiva. È il "mar de molada": sass, mass, giarin e giaron moladi do par al Cordeol, al Piave, i rii tutti, perché tutti contano nel bilancio idrico, nei distretti delle mappe tracciate dall'acqua. Il paesaggio è passaggio veramente. 

Possiamo noi sopravvivere, attraversare il cambiamento senza romperci, navigare fra le nostre acque, nell'armonia del loro fluire? Paolini, proprio qui sull'alveo del Cordevole, che nei millenni si è ricoperto di un manto soffice d'erba verde, dispiega le vele di una barca piena di speranza e ci dà una risposta confortante: "sì". A patto di fare la nostra parte, cominciando dal prendere atto che le cartine vanno riscritte, perché "sono i fiumi a disegnare il territorio", non siamo noi. Loro non si curano delle umane costruzioni, della politica buona o cattiva, delle nostre "ringhiere", del tempo. Sono spinti da forze più profonde, da intenzioni più grandi. "Siamo qui per conoscerli, per conoscerci", che poi è l'unico presupposto per la vita vera.

Proprio oggi, mentre l'Emilia piange di nuovo fra le sue macerie, il sole scalda questo prato gremito di persone, e Marco Paolini fa sgorgare "dalle sue scapole" una parola cristallina. La parola scaturisce e arriva limpida agli orecchi di chi ascolta solo nella calma, come insegnano i Dogon del Mali. È questo il tempo di pensare e progettare, nell'emergenza è troppo tardi. Siamo comunque già sotto stress: l'acqua del bacino non basta. Siamo in scarsità, ed è anche colpa dell'agire sconsiderato che si trascina attraverso le generazioni. Prima della crisi dobbiamo rimboccarci le maniche, oppure un giorno dire ai nostri figli che questa è l'eredità dei nonni, dei padri, e che noi nulla abbiamo fatto per porvi rimedio.

Il 60% dell'acqua dei torrenti viene dalle riserve dei ghiacciai. A causa dello scioglimento degli stessi però vengono meno le risorse che rimpolpano le falde delle risorgive. Possiamo ricaricarle in altro modo? Nella nostra regione piove, la siccità non è mai stata un problema: per questo non abbiamo pensato a un'alternativa. Ma spesso piove quando non serve, l'acqua si disperde inutilmente, e questo, senza la garanzia delle fonti d'alta quota, sì che è un problema.

Venezia, prima dell'ottocento, ha vissuto con un sistema di ingegneria incredibile: i campi veneziani, pozzi che raccoglievano l'acqua piovana, poi filtrata da strati di sabbia di fiume (giara, giarin) e così depurata. 

Allo stesso modo potremmo contribuire alla conservazione dell'acqua che cade sui nostri tetti, sulle nostre piazze, strade, campi, catturandola e facendola penetrare nel prezioso serbatoio delle risorgive: "accumulare l'acqua nei momenti di abbondanza per poi ridistribuirla in quelli di siccità". Una nuova logica, quella del "territorio spugna", a salvaguardia del bene più prezioso che abbiamo.

Una voce si innalza tra le rocce verticali del monte Peron e la guglia del Piz di Vedana. Trasparente e chiara grida la sua natura, chiede di essere ascoltata. Un'altra voce si leva, tre, quattro, dieci, cento, duecentocinquanta, quanti sono i nostri torrenti; e guizzano, zampillano, gorgogliano, si chiamano, scorrono in una sinfonia gioiosa, suonano un allegro vivace e travolgente. La forza del canto, il potere della poesia, verbo che vibra e plasma il mondo.

Scende il sole, cala il sipario silenzioso sui lavori che seguono lo spettacolo. Marco è sul palco, ripone la mappa, riavvolge un cavo, dà un tiro di sigaretta. 

- Credo sia stato tu, sai, a iniziarmi alla politica. Non ne avevo avuto barlume prima, e anche dopo mi è rimasta estranea, a dire il vero, per lungo tempo, ma il turbamento, rimasto sotto pelle, si è rinnovato e si rinnova ad ogni efferatezza scoperta nei libri di scuola o nei notiziari. Era una trentina di anni fa, che facevo le elementari, che raccontavi il Vajont, e le maestre ci avevano consigliato di vederti in TV - penso, mentre lo osservo, di spalle, incontro agli ultimi raggi che brillano sul mio orizzonte.

Mi incammino verso casa, indugio sulla passerella, metto in ordine i miei piccoli appunti; per la mamma che voleva un resoconto, per mio marito che non è potuto venire, ma soprattutto per il mio inesauribile bisogno di raccogliere le parole, perché non mi si spargano intorno invano. Ho creduto di poterle fermare, una volta, e invece si tratta di farle passare dentro (rente), filtrarle, per poi lassarle andar


MAR DE LA MOLADA

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Commenti

  1. Adesso ho capito meglio quello che mi sono persa 🤣
    Sempre bravissima!

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  2. Sintesi Magistrale!😘grazie Saretta mia!!

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  3. Il Cordevole,così umile,talvolta impetuoso e minaccioso, che attraversa valli splendide e selvagge, ha trovato la sua Musa!! Grazie del racconto...

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