San Siro


Una corsa sotto la pioggia per raggiungere lo stadio, giacche a vento e ombrelli, slalom fra le pozzanghere prima, poi fra le bottiglie di birra e i bicchieri abbandonati sui muretti, a terra, fuori dai bar: quel che resta al passaggio dell'esercito dei tifosi. Vorrei non avere fretta, fare qualche scatto, indugiare sulle panchine colme di immondizia, accanto alle insegne fatiscenti dei ritrovi, ascoltare ciò che raccontano, ma non posso: bisognerebbe camminare da soli per seguire la propria andatura. I baristi cominciano a sistemare i tavoli dopo l'invasione, i ritardatari come noi procedono a passo svelto. Dalle bancarelle sale l'odore dei panini unti appena consumati, della cipolla fritta per quelli che verranno preparati dopo, finita la partita. Ogni settimana la stessa storia, si vede proprio che è una consuetudine. Ed è tutto tollerato: bisogna assicurare lo sfogo al popolino. Sia chiaro, anche per me solo birre medie, mi è piaciuta la sensazione di trovarmi in una zona franca, al confine, dove i divieti si offuscano e gli imperativi della sicurezza, che imbrigliano le nostre vite nel tentativo di assicurarci dal fato, abbassano la voce. Però fa un certo che ondeggiare sul limite che si scosta, vedere i ragazzi agitarsi a cavalcioni sui parapetti, mentre cori di testosterone si ingrossano e gridano, quasi si trattasse di vita o di morte. È spettacolare, indubbiamente. Un concentrato di vite che chissà cosa fanno fuori, il lavoro, le famiglie, i progetti, i problemi. Una signora estrae dalla borsetta uno specchietto, si passa il rosso sulle labbra: forse sta già pensando all'invito a cena che ha accettato. Lei è come me. Come il bimbo piccolo per mano al suo papà, gli occhi sgranati che percorrono incantati l'intera lunghezza degli spalti. Tutti gli altri guardano il campo con concentrazione, passione, emozione: del resto sono qui per questo. I milionari là sotto intanto si rotolano sull'erba verde e si disperano per l'azione mancata; altri milionari, dietro i vetri del ristorante, cenano con comodo mentre sono impegnati a dissimulare la tensione: si tratta di affari, del denaro che muove le cose. Qualcuno, naturalmente, si occuperà di portare via i resti dello spuntino, per le strade tutt'intorno invece sarà il lavoro degli spazzini a ripulire Ie lordure dell'insolenza. Io, atea nel tempio del calcio, osservo con assoluta incredulità ma anche con un certo segreto compiacimento la smarginatura del reale, assorbo le vibrazioni di questo microcosmo che racchiude in sé le contraddizioni del mondo intero.







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